Da diverso tempo ormai, il mio lavoro sei tu. Ma solo ora me la sono sentita di scrivere qualcosa al riguardo.

Il tuo percorso all’interno dell’ultima parte della tua vita procede inesorabile, e devo ammettere che non è facile da accettare. Per anni mi sono occupata di fine vita e di accompagnamento al fine vita naturale. Ho frequentato corsi, percorsi di crescita personale, scritto e pubblicato libri, tenuto a mia volta dei corsi su questo argomento. Forse l’ho fatto proprio perché non è facile per me accettare la degenerazione del corpo fisico (sento profondamente che verrà un giorno in cui potremo rigenerare i corpi fisici a volontà e che la degenerazione non sia affatto ineluttabile, ma questa non sembra essere un’opzione disponibile allo stato odierno). E naturalmente perché conosco l’incorruttibilità dello spirito, presente negli uomini come in ogni altro essere e cosa.

Avrei voluto che andasse diversamente e sicuramente avrei voluto poterti offrire un altro ambiente di vita, prima che fosse ora per te di andartene. Avrei voluto, a questo punto, poter trascorrere ore sdraiati nell’erba del nostro giardino, senza alcun estraneo a importunarci. E invece ci ritroviamo ancora in un anonimo condominio in centro città, dove ci vogliono 10 minuti solo per raggiungere la strada, col tuo passo ormai lento e incerto e l’incubo di una pipì o una cacca nella proprietà condominiale, oltre ai commenti e alle domande dei vicini. E poi centinaia di passanti quasi sempre distratti, che rischiano di investirti nella tua lentezza, o allungano una dannata mano per toccarti, cosa che tu ODI.

Argo e la briocheSei diventato così vulnerabile! Una volta così agile e forte. Un tempo sempre a caccia di lepri e scoiattoli, ora cacci con grande abilità pezzi di focaccia, pizza e pane secco, residui di coni gelato, brioches, biscotti lasciati cadere dai bambini, dolcetti della felicità gettati per terra dai clienti all’uscita dei ristoranti cinesi e affini, e qualche volta persino ossa di pollo. Col tuo naso ancora performante, riesci a intercettare persino mezzi panini e brioche abbandonati sopra a quei contenitori grigi delle centraline elettriche o telefoniche sparsi per la città, oppure appoggiati sul davanzale di una finestra. E li punti come fossero vivi… “hei mamma, me lo tiri giù?” sembri dire, spostando lo sguardo da me al prelibato boccone, dato che non riesci più ad alzarti sulle zampe posteriori per andartelo a prendere da solo. Come si fa a negarti qualcosa, ora che sei così fragile e che il tempo rimasto da vivere insieme sembra così breve? Come perdere l’occasione per un altro momento di complicità? E allora mi viene in mente che probabilmente, dal tuo punto di vista, preferisci stare in città a questo punto, con tutto il ben di Dio che ha da offrire, e i suoi suoli lisci e agevoli, mentre la campagna è diventata terribilmente noiosa ora che non puoi rincorrere prede e i sentieri sassosi incompatibili con la tua artrosi.

Sì, da diverso tempo ormai il mio lavoro sei tu. Ho riallestito la casa a misura delle tue necessità, perché nel vecchio letto, non certo piccolo, non riuscivi più a starci con le tue membra irrigidite, e col tuo passo incerto e ondeggiante scivolavi su tutti i pavimenti. Per non parlare della difficoltà di trovare una dieta che ti piaccia e allo stesso tempo sia sostenibile dal tuo intestino. Tu che una volta divoravi qualsiasi cosa senza battere ciglio. E raccogliere i tuoi “ricordini”, liquidi e solidi (quando va bene!), lasciati sul materassino o il pavimento, con le inevitabili innumerevoli lavatrici. E le nostre ancora lunghe passeggiate (almeno fino a che non è iniziato il caldo afoso), rese ancora più lunghe dal tuo lento passo. E ancora, e ancora…

È un lavoro a tempo determinato, lo so, anche se non conosco la data del licenziamento. Del resto non ho mai sopportato i lavori fissi, a cui quasi tutti sembrano agognare. Su questa Terra tutto cambia e tutto fluisce, tutto inizia e tutto finisce; ma allo stesso tempo permane, solo in una forma diversa e a noi per lo più invisibile e incomprensibile. Ma non rimane che accettare e coltivare il presente.

Forse qualcuno potrebbe trovare brutto definirti un “lavoro”. Ma lavoro per me non è mai stato qualcosa che si deve fare perché obbligati, o per “guadagnarsi da vivere”, ma ciò che si sceglie perché è la propria passione e dà senso alla propria vita. Il mio datore di lavoro è la Vita, e io sono al suo servizio con quello che mi porta in ogni momento. In questo caso vi è anche una connotazione di “dovere” poiché nel momento in cui ci assumiamo la responsabilità di un altro essere vivente, lo facciamo, a mio parere, come noi umani usiamo dire per altre occasioni, per amarci e sostenerci in salute e in malattia, e finché morte non ci separi. E questo può rappresentare un grosso impegno, soprattutto quando ci si propone che a decidere i tempi della vita e della morte sia il diretto interessato e non noi. Comporta anche aspetti evolutivi che riguardano la disciplina e il lavoro su di sé. E se si vuole uscire bene da un’impresa così impegnativa come accompagnare qualcuno nel fine vita, di lavoro su di sé occorre farne parecchio.

Tutto quello che ho studiato, sperimentato e insegnato in questi ultimi anni in questo campo, è ora diventato il mio pane quotidiano. Sono felice di avere fatto tutta questa strada perché ora mi trovo molto più pronta, ma per quanto uno si prepari, è spesso difficile liberarsi di quella dannata sensazione di aver fatto qualcosa di sbagliato (per forza, come si fa a non “sbagliare”, col senno di poi?) e quella irrazionale speranza che il proprio cane sia tanto speciale che gli sarà risparmiata ogni sofferenza e ogni impedimento, e chissà, che sia forse persino immortale… Naturalmente lo è, ma solo nell’anima. E l’anima a un certo punto vola libera, e a noi tocca rimanere con le povere spoglie.

Un cane è un pezzo di te. Hai costruito la tua vita attorno a lui. Hai dovuto considerare la sua presenza in ogni decisione che hai preso, spesso hai modificato le tue decisioni, anche importanti, per lui. Era lì con te in mille momenti, decisivi come insignificanti. È diventato parte integrante del tuo mondo, fisico, emozionale, spirituale. E allora, in un processo naturale, mi ritrovo a iniziare a pensare la mia vita futura senza di te. Ci sarà un dopo, anche se emozionalmente sembra impossibile ed è collegato a un grande senso di vuoto. Sono ormai più di 15 anni che penso la mia vita insieme a te. Ci sarà per forza un dopo, come ho imparato duramente con la recente, inaspettata e tragica morte di mio fratello, che non avevo avuto il tempo di immaginare, seguita, poco più di un anno dopo, da quella di mio padre. Il tutto solo un paio di mesi dopo aver chiuso la mia casa editrice, cui avevo dedicato più di dieci intensi anni di lavoro, e che avevo aperto quando tu eri un cucciolo.

Il cerchio si sta chiudendo. Sei l’ultimo essere vivente rimasto del mio passato che io consideri parte della mia “famiglia stretta”. Dopo di te, solo il nuovo. Un nuovo che naturalmente fa paura.

Argo che beveNon so quanto tempo ancora saremo insieme. So che nella vecchiaia di un cane, ancor più che di un umano, bisogna aspettarsi anche peggioramenti repentini, ma alle volte invece non succede. Ogni vita è un caso a sé. Nessuno può saperlo. Ma intanto il lento inesorabile declino c’è: la sempre maggiore difficoltà al alzarsi e sdraiarsi, la crescente instabilità, il passo sempre più lento, l’appetito che cala, la mente spesso poco lucida, l’incontinenza, le tue infinite dormite, il sempre maggiore disinteresse verso i tuoi simili (degli umani non ti è mai importato nulla, se non come approvvigionatori di cibo…). La mia vita è sicuramente in una fase di passaggio che si sta rivelando molto lunga. Non mi rimane alcun legame forte oltre a te, nemmeno con i luoghi, la casa, gli oggetti. Mi sto staccando da tutto. È come un immenso, incommensurabile, quasi infinito processo di elaborazione del lutto, nel quale tu mi stai accompagnando. E di questo ti sono immensamente grata. Non scorderò mai le tue lunghe zampe, i tuoi folli salti, la tua lunghissima coda, la tua incredibile testardaggine, il tuo bel corpo snello ed elegante, i ciuffi di peli bianchi in fondo alla coda e alle zampe, i tuoi occhi pieni di anima, la tua selvaticità. Conosco ogni centimetro di te, e tu conosci ogni centimetro del mio mondo. Mi hai sopportato nei miei momenti tristi e nelle mie crisi isteriche, di cui hai inevitabilmente subito le conseguenze, evitando comunque sempre di farti “risucchiare” dal mondo umano. Sei sempre rimasto un cane orgoglioso e indipendente, forte e volubile, e rimani forte tuttora, nonostante le apparenze.

Mi hai insegnato tanto, e so che lo farai ancora.